The night song of the day #416

11 Agosto 2025

Ancora sulle opinioni (#349).

Questo è il periodo dell’anno in cui la famiglia si ritrova in montagna. Ci sono decine di parenti, con al seguito amici e partner in visita per il ferragosto. Uno spaccato ai giorni nostri della famiglia classica rurale dell’inizio del secolo scorso, con tre generazioni a stretto contatto, come quella rappresentata da Bertolucci in Novecento o da Silone in Fontamara.

(#362, #404) Cerco di immaginarmi, guardandomi dall’esterno, integrato in un contesto sociale che mi appartiene, ma da cui non sono rappresentato. Nella pratica sono spesso un corpo estraneo, presente ma non partecipativo, che passa tempo a osservare e ascoltare. Un moderno Meursault.

Mi colpiscono di nuovo le opinioni, ma da un punto di vista completamente diverso dal passato, quello di chi l’opinione dà.

Immaginatevi la classica discussione basata sul niente; parliamo di qualcun altro che ha fatto qualcosa o è qualcosa. Nel caso specifico, l’ultimo, il protagonista è mio cugino di diciassette anni, che esce solo se mangia sushi. La discussione ha incendiato il pomeriggio già appesantito dal caldo.

Gli interventi si riducono sempre allo stesso schema: opinione personale, esempio della propria vita lunghissimo, iper dettagliato e in fondo inutile, assunzione della propria esperienza di vita a legge universale, conclusione della dimostrazione del teorema che qualcuno è un idiota.

È bellissimo avere dieci minuti in cui le persone ci ascoltano. Si può prima di tutto riproporre un episodio della propria vita scelto di proposito per farsi invidiare, sapendolo dall’inizio.

La moglie di mio zio : “Sapete che io vado sempre nei ristoranti stellati, vi ricordate quella volta da Bartolini? Ve l’ho già raccontata? Ah no, tu non c’eri, te la racconto…”. Fiumi di parole. “Se vai in un ristorante come questo allora ha senso mangiare il pesce crudo, ma con tutto il rispetto, il Giovanni va nei postacci, se facesse come faccio io allora andrebbe bene, ma così…”.

Con semplicità si riesce a riproporre la propria superiorità, economica e morale. E in ultimo si riesce a parlar male dell’interessato, che è il movente dell’umanità.

Al termine del proprio intervento, se costruito con cura, il proprio ego si amplifica, la pelle risplende, le spalle si alzano, lo sguardo è fiero e il respiro si intensifica, come quando ci si avvicina all’orgasmo. Le altre persone cambiano la propria postura, iniziano a irrigidirsi, spostarsi, distogliere lo sguardo e guardare in basso, fino a essere annichilite quando le frasi conclusive ad effetto fanno il loro corso:

“Perché quello stronzo aveva un’altra, mentre mia figlia era a casa a curare i bambini, perché lei è come me, è fedele, ci tiene alla famiglia, ai bambini e non farebbe mai una cosa del genere”.

Ed è proprio parlando di figli che la situazione raggiunge l’acme: “Mio figlio sta diventando proprio bravo, ormai va a scuola in bicicletta, è il momento giusto perché anch’io ho iniziato a quell’età”.

L’opinione di quello che dovrebbe fare il figlio, sulla base della propria esperienza personale, è il vero orgasmo per qualunque genitore, che sfrutta il suo potere per assoggettare il figlio e, contemporaneamente, provare a se stesso che la sua vita è un esempio di perfezione da seguire.

Perché sarebbe da ingenui pensare che l’oggetto della discussione interessi a qualcuno dei partecipanti e da dilettanti pensare che l’interesse sia nell’avere ragione. Tutti sanno che anche quest’ultima scompare di fronte alla possibilità di avere dieci minuti di palcoscenico per mostrare la propria grandezza e sminuire tutti gli altri.

“Start by admitting,
from cradle to tomb,
it isn't that long a stay.
Life is a Cabaret, old chum,
only a Cabaret, old chum,
and I love a Cabaret.”

Amo il cabaret, perché è meraviglioso lamentarsi di tutti quelli che danno un’opinione, ma è ancora più meraviglioso darne una di cui tutti si lamenteranno.

Correva l’anno 1972

Liza Minelli - Cabaret